L’intervento del Professor Claudio Bencivenga Università degli Studi di Parma

Laurea magistrale in programmazione e gestione dei Servizi sociali. Associazione per le Comunità Terapeutiche e residenziali “Mito e Realtà”. Fenascop Federazione Nazionale Strutture Comunitarie Psicoterapeutiche. Referente clinico SRTRe adolescenti Eimì/codess Roma. claudio.bencivenga@unipr.it

Per una Comunità terapeutica trasformativa

Innanzitutto una premessa : Il disagio psichico adolescenziale, può essere considerato fisiologico e destinato a risolversi naturalmente, ma esiste una frangia che può evolversi, a seconda di una serie di variabili, in veri e propri disturbi psicopatologici. Tra l’altro la possibilità di un intervento precoce limita la probabilità di evoluzioni sempre più disabilitanti con l’aumento della possibilità di cronicizzazione con un’ inevitabile ricaduta a 360° sull’individuo, sulla famiglia , sulle energie da mettere in campo e sulla spesa pubblica.

Vi è necessità a seconda dei quadri diagnostici di un ventaglio di risposte, soluzioni, risorse di volta in volta modellate sui differenti momenti e necessità dell’evoluzione clinica che possano spaziare – reciprocamente e viceversa – dal sanitario al sociale.

A tutt’oggi non tutte le regioni hanno recepito e fatto proprie le normative nazionali con il risultato di una forte disomogeneità esistente; ne segue il fenomeno della macchia di leopardo, spostamenti onerosi per i familiari da una regione all’altra, sradicamento degli utenti.

 A fronte di realtà nelle quali è stato creato  un adeguato sistema di servizi di  NPIA , ce   ne sono molte altre nelle quali non vengono erogati gli interventi terapeutici di cui si ha necessità. Un es: su tutto il territorio nazionale esistono per rispondere ad una fase di acuzie che avrebbe bisogno di un reparto ospedaliero specializzato in  NPI  circa  336 posti che va confrontato con i 5000 posti di ricovero ospedaliero della psichiatria adulti.

Oggi assistiamo:

(fonte SINPIA “Linee di indirizzo per l’emergenza – urgenza psichiatrica in età evolutiva “ 2018 https://www.sinpia.eu/linee-guida/linee-guida-anno-2018/)
  • ad un aumento medio degli utenti seguiti dai Servizi Territoriali di NPIA del 7% l’anno;
  • ad un aumento degli accessi di adolescenti con acuzie psichiatrica in P.S. del 21%;
  • ad un aumento dei ricoveri di adolescenti con diagnosi psichiatrica del 28%;
  • ad un aumento delle richieste di inserimenti in residenzialità terapeutica di circa il 10% all’anno.

La scarsità di risorse fa sì che molti utenti e famiglie restino in lista d’attesa per mesi o addirittura anni, spesso inducendo i tribunali a emettere dei Provvedimenti perché la condizione di rischio per il lungo tempo trascorso si è trasformato in una condizione di  vero e proprio pregiudizio. Ricordo che le inefficienze dei rapporti tra autorità giudiziaria e servizi sociosanitari sono state anche oggetto di condanne dello Stato Italiano da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, proprio in relazione alla mancata attuazione di provvedimenti dell’autorità emessi a tutela delle relazioni parentali.

Ma trattiamo delle Comunità terapeutiche. Abbiamo parlato di una filiera di interventi: dall’ambulatorio territoriale della ASL che dovrebbe fungere  da  “regia”   a tutta una serie di dispositivi calati sul momento clinico del paziente. Ora è chiaro che un Reparto Ospedaliero di neuropsichiatria infantile che dovrà “contenere” una fase di acuzie con un intervento di breve durata dovrà essere caratterizzato da un certo tipo di mission e di pari passo da un certo tipo di organigramma, che vedrà privilegiare, un personale maggiormente medico infermieristico..

Laddove interventi snelli di domiciliarità specializzata , sul tipo del compagno adulto non sono applicabili , potrebbe esserci la necessità , fuoriusciti da una fase di acuzie, di una residenzialità comunitaria dove il fattore tempo ,  massimo  2 anni ,  sia finalizzato  alla cura e alla riabilitazione; qui la multidisciplinarietà dovrà  vedere  privilegiare  figure formate per rinarrare una storia, ritessere delle relazioni familiari cortocircuitate, “mettere  in parola” e significare vissuti poco mentalizzabili per favorire una trasformazione e un riavvio di un processo evolutivo che per molteplici fattori si è interrotto. Per fare ciò ci  vuole tempo e bisogna avere il coraggio di dirlo.

L’esperienza quotidiana sul campo, pone in risalto sempre di più l’esistenza di una tipologia di disturbi molti dei quali assumono dal punto di vista sintomatologico forme nuove precedentemente sconosciute e correlate ai cambiamenti sociali . Questo indica che i disturbi si sono complessizzati. Quadri clinici complessi , spesso caratterizzati da esperienze traumatiche – pensiamo ai casi connessi all’adozione soprattutto alle adozioni internazionali; le  vulnerabilità narcisistiche ( figlie del nostro tempo,  che “spingono”   molto sul tema della sfida, della competizione e della performance); l’aumento delle condotte suicidarie; i comportamenti dirompenti  resi esplosivi dall’ incremento dell’abuso di sostanze; l’isolamento in casa ; la situazione dei minori migranti e delle loro famiglie portatrici di un forte carico traumatico; le situazioni di alta conflittualità familiare . Tutti casi che richiedono una particolare formazione sia per entrare in relazione che per sintonizzarsi con i bisogni profondi degli utenti. Competenze che si acquisiscono se si è seguito un particolare percorso di studio (se non addirittura attraverso un training personale) dove il professionista , l’operatore, debba essere in grado di riconoscere “dentro di se” ciò che  sta accadendo al paziente, per leggerlo, decodificarlo entrarvi in risonanza e restituirlo in maniera pensata e bonificata .

Oggi c’è molta confusione. In alcuni contesti le Case di cura psichiatriche (Cliniche) sono state convertite in comunità terapeutiche , forse per la fretta di rispondere ad un fabbisogno , tradendo però la mission di quello che dovrebbe essere una comunità , a stampo democratico, che ricordiamo non deve superare un massimo di 20 posti letto .  Con l’ “invenzione” dei moduli è possibile formalmente non superare i 20 posti ma di fatto ne posso avere 80 – 100 spesso con divisioni promiscue tra gli ambienti addirittura a volte tra minori e maggiorenni.

Le Comunità residenziali estensive per la cura e riabilitazione per l’adolescente, non possono assomigliare , a piccoli ospedaletti , anonimi, a una sorta di “non luoghi” perché  la mente come sappiamo si è formata e costruita in un ambiente domestico caratterizzato da interazioni nutritive e strette. Insomma c’è residenzialità e residenzialità tutte utili se inserite all’interno di una progettualità pensata e che segua l’evoluzione e la trasformazione clinica di un quadro di sofferenza psicopatologica. Guarda le Slide