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PER RIAFFERMARE LA CULTURA BIOPSICOSOCIALE E
PSICOTERAPEUTICA DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE NELLA TUTELA DELLA
SALUTE MENTALE

Premessa:
La Comunità Terapeutica è una struttura sanitaria di “dimensioni familiari” (in genere dai
10 a un massimo di 20 pl) per il trattamento volontario globale – psicoterapeutico,
farmacologico, relazionale e sociale che – su richiesta dei Servizi territoriali – accoglie
pazienti preferibilmente giovani e agli esordi psicopatologici, non trattabili a domicilio, né a
livello ambulatoriale, che non necessitano di trattamenti in regime di ricovero ospedaliero e
che hanno bisogno di effettuare un percorso terapeutico e riabilitativo attraverso una presa
in carico residenziale ed un periodo di separazione dall’abituale contesto di vita.
È adatta per quei pazienti che necessitano di uno spazio e di un tempo necessari per
riavviare processi evolutivi interrotti, per sperimentare nuove relazioni significative, per
ricostruire, rinarrare e risignificare la propria storia personale con lo scopo di raggiungere
un adeguato recupero funzionale. Per raggiungere le sue finalità si avvale di un trattamento
complesso multifattoriale e multidisciplinare di tipo evolutivo/trasformativo.
È da considerarsi un tassello di un intervento, una struttura “intermedia” tra il polo
ambulatoriale e l’Ospedale; un’esperienza temporanea che si realizza “in rete”: all’interno di
un percorso – permeabile agli scambi sociali – che preveda risposte articolate, calate sui
bisogni e sul progetto del paziente es in linea con l’evoluzione di un quadro che può spaziare
tra interventi a valenza maggiormente sanitaria e/o sociale.
Sul territorio nazionale le Comunità terapeutiche che rispondono ai bisogni della
popolazione adulta sono sufficientemente distribuite; per quanto concerne invece la fascia
evolutiva adolescenziale se ne riscontra ancora un numero ridotto con una presenza a
“macchia di leopardo”.

Tale manifesto nasce dalla sintesi di un lavoro svolto dalla Consulta delle Società
Scientifiche presso il CNOP che ha appositamente istituito un gruppo tecnico sul tema delle
Comunità Terapeutiche Residenziali con le seguenti finalità:
– Ribadire il ruolo terapeutico della residenzialità delle Comunità terapeutiche,
affrancandosi da un modello assistenziale e ospedaliero;
– Delineare il ruolo trasformativo delle residenzialità;
– Analizzare l’appropriatezza delle figure professionali nei ruoli dell’organizzazione;
– Svolgere un’opera di sensibilizzazione culturale e di approccio alla tutela della salute
mentale lontano da logiche meramente assistenziali;
– Incidere sulle scelte riguardo la programmazione dei Servizi a livello di politica
sanitaria con proposte di modifica delle normative regionali vigenti;
– Per la cittadinanza/familiari/utenti: fornire delle risposte efficaci, luoghi di cura
dinamici, flessibili, evolutivi “contro” il rischio di luoghi statici, non vitali, caratterizzati
da routine ripetitive, non promotrici di processi evolutivi e di inclusione sociale;
– Non avallare, sulla tematica della salute mentale, soluzioni anacronistiche, fuori dai
tempi, dove vengono riproposte, per gli interventi di una certa durata, soluzioni
semplicistiche sostanzialmente allocative.

Oggi la cultura delle comunità viene sottovalutata nel dibattito teorico scientifico
predominante, ma resta viva e operante in molte strutture e istituzioni che continuano a far
riferimento al bagaglio storico culturale e metodologico che essa ha trasmesso nel tempo,
a conferma, da un lato della validità del metodo comunitario, e dall’altro della dicotomia
esistente fra le esigenze di un corretto approccio biopsicosociale e visioni troppo
riduzionistiche.
Si sta assistendo nel tempo a normative nelle varie regioni, che finiscono per semplificare e
banalizzare la complessità dell’intervento e che stanno, di fatto, assimilando le Comunità
sempre più, per caratteristiche e personale, a strutture assistenziali e simil/ospedaliere con
un’indicazione del personale che vede una sperequazione di figure infermieristiche e
parainfermierisiche rispetto a funzioni professionali maggiormente deputate a decodificare
gli aspetti interni dei pazienti.
La direzione sembra propendere verso una sorta di aziendalizzazione fine a sé stessa, una
assistenza burocratica, dove poco spazio rimane alla dimensione dell’incontro.
Da molte parti è stato lanciato negli ultimi anni l’allarme per il tentativo di riprodurre in una
comunità terapeutica un modello assimilabile alla clinica psichiatrica. C’è il rischio concreto
di concepire questo intervento o come fortemente sanitarizzato o con una valenza solo di
tipo socio-assistenziale.
Bisogna avere il coraggio di dire esplicitamente che i pazienti ospiti nelle comunità
terapeutiche (per lo più giovani adulti) hanno un quadro clinico che rientra nell’alveo della
psicopatologia che una volta stabilizzata (fuori dall’acuzie, dall’intervento ospedaliero) deve
essere riconosciuta e adeguatamente trattata con strumenti non solo educativi o rieducativi,
ancor meno di tipo assistenziale, ma soprattutto con interventi a valenza clinica, terapeutica.
Storie di sofferenza richiedono una particolare formazione sia per entrare in relazione che
per sintonizzarsi con i bisogni profondi degli utenti. Competenze che si acquisiscono se si è
seguito un particolare percorso di studio, se non anche un training di psicoterapia personale,
attraverso cui gli operatori possano essere in grado di riconoscere “dentro di sé” ciò che sta
accadendo al paziente, per entrarvi in risonanza e restituirlo in maniera pensata e bonificata
Nella maggior parte delle normative regionali vengono proposte figure para/infermieristiche
in numero sproporzionato rispetto a funzioni professionali competenti e con una particolare
attitudine alla riflessione e alla clinica e non solo ad una generica accoglienza.
Si rischia di scambiare il “contenimento psichico” – che vuol dire accoglienza, holding,
reverie, ascolto, mentalizzazione, fiducia, relazione, dedizione, incontro – per il
“contenimento fisico”, per assistenza solo materiale, biologica, di “tamponamento” del
sintomo, senza attenzione e ascolto trasformativo alla realtà interna degli utenti, alle loro
esperienze, alle loro vite, alle loro esistenze. Si arriva in questo modo a riproporre un
modello custodialistico che vede i pazienti passivi e non soggetti attivi di un percorso.

Riteniamo che occorra un personale multidisciplinare che privilegi, tuttavia, figure a valenza
“psi” in grado di ricucire, rinarrare una storia, ritessere delle relazioni familiari cortocircuitate,
“mettere in parola” e significare vissuti poco mentalizzabili, elaborare stati traumatici per
favorire un riavvio di un’evoluzione che per molteplici fattori si è interrotta e dove il “vulnus”
è l’elemento relazionale che possa favorire l’introiezione di nuovi schemi, copioni più adattivi
e funzionali nel tentativo di attivare e sviluppare nei pazienti una “funzione riflessiva”.
È inaccettabile quindi che nella quasi totalità delle normative regionali riguardanti le
comunità terapeutiche per la salute mentale non sia prevista in organico la figura dello
psicoterapeuta e sia presente solo in misura minima quella dello psicologo.
È a tutta la società che ci rivolgiamo dunque, a partire da chi ha responsabilità specifiche,
perché non solo i principi che hanno animato l’origine delle comunità terapeutiche continuino
ad essere affermati, ma venga fermata la tendenza alla ipersemplificazione, a
marginalizzare il modello psicoterapeutico da parte di quanti – più o meno consapevolmente finiscono
per avallare un paradigma biologico/riduzionista dal sapore custodialistico/assistenziale.
Ed è in questo senso che chiediamo a quanti condividono i principi di questo
Manifesto di sottoscriverne l’adesione, inviando una email a formazione@psy.it
specificando per esteso la società/associazione di appartenenza e il nominativo del
Presidente.
I componenti del Gruppo tecnico di lavoro “Comunità terapeutiche residenziali:
Dott. Claudio Bencivenga, Mito & Realtà Associazione Comunità Terapeutiche Residenziali e Fenascop
Dott. Umberto Nizzoli, Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento
alimentare (SISDCA)
Dott. Roberto Quintiliani, Mito & Realtà Associazione Comunità Terapeutiche Residenziali
Dott.ssa Chiara Ronconi, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e
l’Abuso all’Infanzia (CISMAI)
Dott. Matteo Sozzi, Società degli Psicologi dell’Area Neuropsicologica (SPAN)
Dott.ssa Carlotta Zoncu, Società Italiana di Psicodramma Analitico (SIPsA)

Per approfondire:

LAVORO CNOP GRUPPO COMUNITA TERAPEUTICHE .14_5_23