Le Comunità Terapeutiche Psichiatriche hanno come missione quella di “liberare” il paziente psichiatrico. Ma oggi, dall’inizio della pandemia, si trovano invece ad essere richieste dal Servizio Sanitario Nazionale, di “trattenere” il paziente al loro interno, di farlo “uscire” il meno possibile.
Vengono richieste di contenere, anziché liberare. Di curare e riabilitare limitando i contatti con l’esterno. Quei contatti che, insieme alla psicoterapia ed alla riabilitazione, hanno dimostrato di poter superare l’esperienza del manicomio.
Intendiamoci, la richiesta di “rinchiudere” i pazienti, di limitarne i contatti con l’esterno, fonda su condivisibili esigenze di prevenzione del contagio, che riguardano tutta la realtà contemporanea e non solo la residenzialità extra ospedaliera, psichiatrica, ma anche degli anziani, dei disabili, delle dipendenze. Anzi, riguardano proprio tutti, sani, malati, curanti e curati.
Il risultato è che le strutture della residenzialità psichiatrica si trovano probabilmente nella condizione peggiore da quando sono nate. Sono più fragili, più facili da attaccare.
Ad esempio sull’edizione web de Il Fatto Quotidiano del 19.11.2020 nell’articolo in oggetto a firma di Chiara Daina, il Prof. Starace si premura di attaccare le Comunità terapeutiche per sostenere ciò che gli sta a cuore, il cosiddetto “budget di salute”.
Per il Prof. Starace infatti “il Covid ha dimostrato che le strutture residenziali sono inadeguate e va evitato l’isolamento”, fondando tale affermazione su asserite ricerche non meglio specificate.
Tale concetto – la pretesa inadeguatezza delle strutture residenziali – è sostanzialmente la tesi, errata, sostenuta in tutto l’articolo, nel quale non è mai ad esempio nessuna voce diversa da quella del Prof. Starace, nemmeno quella delle strutture residenziali psichiatriche extra ospedaliere che FENASCOP rappresenta, a livello nazionale e regionale, dalla sua fondazione nel 1993.
Secondo le dichiarazioni del prof. Starace, l’asserita “inadeguatezza delle strutture residenziali” sarebbe dimostrata dal fatto che in Emilia-Romagna, durante il periodo della Covid, i ricoveri ospedalieri, i TSO e gli accessi al pronto soccorso sono diminuiti.
Riporta l’articolo del Fatto che secondo il Prof. Starace, ciò “significa che i pazienti con un disturbo mentale severo, come la schizofrenia, hanno reagito con resilienza, hanno rispettato le norme anticovid e hanno proseguito le cure a domicilio.”
Insomma, secondo il prof. Starace, in Emilia-Romagna, durante il periodo del Covid, i pazienti psichiatrici sarebbero stati “meglio” (laddove al proprio domicilio). Ciò sarebbe dimostrato a suo autorevole parere, dal minor numero di ricoveri ospedalieri, anche in regime di TSO, e di accessi al pronto soccorso. Affermazione decisamente in contrasto con quanto è notorio: cioè che la pandemia ha rappresentato un peggioramento della salute mentale di tutta la popolazione, come dimostrato da molte ricerche.
Di più: tesi quantomeno azzardata ed addirittura bizzarra se si osserva che la stessa cosa – i minori accessi ospedalieri e al pronto soccorso – ha riguardato e riguarda tutte le patologie diverse dalla Covid-19 e tutti pazienti, non solo quelli psichiatrici: ad esempio, i pazienti cardiopatici ed oncologici. I minori accessi e minori cure ricevute in tutta Italia, notoriamente sono stati infatti determinati dalla paura del contagio e/o dal fatto che i servizi erano chiusi o limitatamente disponibili in conseguenza della pandemia: i minori accessi ad ospedali e pronto soccorso non sono stati affatto causati da un miglioramento generalizzato della salute della popolazione.
In generale, poi, nei periodi dell’emergenza Covid le statistiche parlano di un aumento, in alcuni casi del doppio, della mortalità rispetto all’anno precedente; decessi non tutti riconducibili nel numero totale all’infezione da Covid, ma causati dal minore accesso a pronto soccorso ed ospedali o dall’evitare prestazioni diagnostiche per paura del contagio.
Significativa l’affermazione successiva del prof. Starace, che poi è la tesi dell’articolo ed il suo titolo: a suo parere, ad essere stati meglio sono stati i pazienti curati a domicilio, ma non quelli nelle strutture residenziali, le comunità terapeutiche, perché in quel caso “sono stati limitati al massimo i contatti con l’esterno”. Dimenticando di dire che quella limitazione dei contatti, non era solo prevenzione del contagio, ma una (comprensibile, nell’emergenza) richiesta pressante della committenza, ovvero del servizio sanitario regionale emiliano-romagnolo; come accaduto ovviamente in tutta Italia.
L’articolo diventa così l’esposizione di un evidente pregiudizio del prof. Starace verso le strutture residenziali psichiatriche. Pregiudizio che non ha il minimo fondamento scientifico. Nell’articolo si decantano poi a sostegno dell’assistenza psichiatrica non residenziale, esempi di esperienze pregevoli di riabilitazione, delle quali viene presentato l’aspetto esteriore, ma non i risultati concreti; si descrivono esperienze che riguardano un ordine di qualche decina di pazienti in tutta Italia, contro le migliaia di pazienti curati nelle realtà residenziali di vario tipo come le Comunità terapeutiche, che risultano tutte connotate negativamente. Non si descrive la situazione dei molti, molti meno pazienti curati a livello domiciliare o territoriale, e dei molti, molti pazienti in più presi in carico solo formalmente o per nulla dai servizi territoriali in tutta Italia, esterni alla residenzialità o in lista di attesa infinita per accedervi.
Chi ha abbastanza anni per ricordare gli anni eroici che hanno seguito la riforma Basaglia, testimonia come le Comunità Terapeutiche siano state invece fondamentali nel ridare dignità a persone internate nei manicomi o costrette ad una vita degradata e degradante in famiglie che non avevano gli strumenti né culturali né economici per assisterli adeguatamente, pur in un contesto sociale più solido dell’attuale.
Molti pazienti sono stati in quegli anni letteralmente tolti dai sottoscala – o dalle gabbie, o dalle stanze piene dei loro escrementi – per riportarli ad una condizione di umana dignità in strutture residenziali che, piano piano, seguendo l’evoluzione normativa e culturale di sono organizzate diventando perno di un intervento clinico-riabilitativo che ha dato, innegabilmente, risultati importanti.
Chi scrive ha avuto modo di constatare a suo tempo direttamente, seppure non medico, come in strutture residenziali pazienti provenienti dagli ospedali psichiatrici abbiano imparato nuovamente a prendersi cura di sé, a tenere in mano le posate e mangiare al tavolo, imparato a leggere e scrivere e preso le licenze scolastiche, recuperato la propria storia personale e la propria identità attraverso l’esperienza residenziale.
Occorre poi dirlo con il necessario vigore: senza le strutture residenziali il sistema oggi non reggerebbe e la gestione dei pazienti psichiatrici si scaricherebbe su famiglie sempre più disgregate – come sempre più disgregata è la società in cui viviamo, e la pandemia disgrega ed allarga la forbice delle diseguaglianze ancor più – incapaci di sostenerne il peso nella gestione quotidiana.
Allora non si tratta di mettere in concorrenza le varie esperienze e le realtà domiciliari, residenziali e territoriali con le Comunità terapeutiche residenziali in nome di slogan come il “budget di salute” proposto dal prof. Starace, curiosamente riproposto qua è la nelle regioni nel corso degli anni e sempre con risultati negativi, dall’Emilia Romagna alla Lombardia, per gli anziani e disabili ieri, o per i pazienti psichiatrici oggi nella visione personalissima del prof. Starace.
Dimenticando che riabilitare i pazienti psichiatrici anche secondo le stesse linee guida nazionali di Agenas, significa realizzare progetti terapeutici individualizzati, costruiti sulle caratteristiche del soggetto preso in carico, tenendo conto di tutti gli aspetti che hanno favorito lo sviluppo della patologia psichiatrica, con una modalità che potremmo definire “ tailor made”. Avviando il paziente in un percorso di cura solo in parte costituito dal trattamento farmacologico e psicoterapeutico, recuperando competenze sociali, ricostruendo o implementando ex novo le reti primarie e secondarie di riferimento, agganciando i servizi territoriali in modo da favorire il rientro in condizioni di protezione nel contesto familiare e sociale di provenienza.
Tutto ciò è possibile se il sistema della residenzialità, delle comunità terapeutiche ed i servizi territoriali operano di concerto ed in modo integrato, e con obiettivi precisi e predeterminati, con verifiche periodiche di progetto che coinvolgano, oltre ai soggetti istituzionali, anche la famiglia e le reti che via via si vanno rinforzando o costituendo.
Le strutture residenziali come le Comunità terapeutiche rispondono ai bisogni del paziente su assi diversi (clinico, sociale, casa, abilità al lavoro ecc.) con l’obiettivo di una sua progressiva autonomizzazione in funzione delle sue competenze e capacità. Le strutture residenziali sopperiscono, completandola, ad una funzione basilare del Servizio Sanitario Regionale/Nazionale che spesso i servizi territoriali non svolgono per diverse ragioni, ivi compreso il fatto che magari si dedicano ad altro, in modo non necessariamente antitetico.
La residenzialità non è quindi costituita da puri e semplici posti letto come invece accade negli ospedali e nelle case di cura ad indirizzo psichiatrico, che mai sono oggetto di attenzione critica, nonostante queste ultime siano sopravvissute ai manicomi e spesso in silenzio vengano trasformate in strutture residenziali semplicemente cambiando l’insegna sul cancello, con il beneplacito di quella stessa psichiatria che critica le Comunità terapeutiche.
La residenzialità che così negativamente viene presentata dal Prof. Starace e dalla giornalista in quell’articolo non è costituita da semplici posti letto, ma da progetti riabilitativi, che come tali hanno bisogno di attenzione e protocolli specifici, in particolar modo in momenti come questi che vedono uno sconvolgimento del modo di vivere individuale e collettivo.
In buona sostanza, anziché promuovere crociate contro le Comunità terapeutiche e propagandare “budget di salute” che rappresentano semplicemente la resa del servizio sanitario regionale nello svolgere il proprio ruolo e funzione, il prof. Starace e la psichiatria nel suo complesso dovrebbe forse adoperarsi affinché la residenzialità psichiatrica e il servizio territoriale dialoghino, condividano, concertino, si integrino, agiscano in maniera simbiotica, sostenendosi reciprocamente nel percorso di cura e riabilitazione dei pazienti. Modalità dalla quale non possono che trarre benefici i pazienti ed il sistema stesso.
Porre invece i due sistemi in concorrenza o, peggio, in contrapposizione, avrebbe conseguenze devastanti con una regressione nel livello complessivo della qualità di cura e vedrebbe come prime vittime i pazienti e le loro famiglie. Di questo dobbiamo essere coscienti, prima di cancellare la storia pluridecennale delle Comunità terapeutiche psichiatriche affermandone la dannosità o l’inutilità.
Il punto non è difendere o attaccare le comunità terpeuriche o il “budget di salute”, ma difendere una concezione della cura e della riabilitazione psichiatrica che integri residenzialità, territorio, domiciliarietà per creare una rete che consenta veramente l’esplicarsi di un progetto riabilitativo efficace ed individualizzato, nel quale le esigenze del singolo paziente psichiatrico possano trovare la risposta ai propri bisogni di cura. Le Comunità terapeutiche, la residenzialità vogliono curare, riabilitare, fare rete e creare salute in modo efficace ed efficiente. Ed invece, viene loro contrapposto dal Prof. Starace e dall’articolo un “budget di salute” che altro non è, nella sua applicazione, che un budget di spesa: un discount della salute mentale.
Qualcuno diceva che dalla pandemia saremmo usciti migliori. L’assistenza psichiatrica non ne uscirà migliore tramite attacchi insensati ad una sua parte importante come la residenzialità psichiatrica.
Nota. L’articolo citato nel testo è disponibile all’indirizzo https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/19/assistenza-per-i-malati-psichiatrici-il-covid-ha-dimostrato-che-le-strutture-residenziali-sono-inadeguate-e-va-evitato-lisolamento/5997723/
Si può notare che i commenti all’articolo sono chiusi, a dimostrazione della volontà di supportare una tesi. Una tesi sola: quella espressa nell’articolo.